La palestra è ancora deserta, tace, non rimbombano ancora i palloni, le risate, i gridolini di gioia, né i rimproveri. Ti spia un po’ dalla fessura della porta, con un briciolo di coragggio fa capolino e ti guarda, ti scruta. La mamma, la nonna o il papà, a volte anche il fratello maggiore o la sorella lo incoraggiano a entrare e dal primo passo lo inizi a conoscere. Prima di sapere il suo nome e iniziare a tormentarti per ricordartelo dopo la prima lezione sai già se è timido, estroverso, curioso, solare o pensieroso. Potresti raccontarlo con mille parole senza che lui ne proferisca una. Lo riconosci dalle manine: se tormentano i pantaloncini o la maglietta è timido, così come se tiene un dito in bocca, o se posa il suo sguardo ora sulla scarpa sinistra ora su quella destra, senza mai alzarlo. Se è così sai bene che non correrà subito, camminerà pian piano e quasi in punta di piedi, come a volersi nascondere dalla tua presenza, non ti chiederà aiuto per prendere il pallone, ma tu, previdente e amorevole, glielo porgi sorridendo rassicurante. Chissà a cosa pensa.

Fai finta di andartene, ti giri, lo lasci prendere dimestichezza con quel pallone giallo e una mano blu stampata sopra. Lo immagini sovrapporre la sua a quella, fantasticare, vorresti girarti, ma lo disturberesti. In un attimo lo senti: è il rumore del cerchio di plastica appeso al canestro colpito dal pallone, ti volti e lo vedi rincorrere la palla eccitato, ritornare davanti al cerchio e buttarci dentro nuovamente la palla. Sembra ancora più felice. Dovrebbero avere tutti il suo entusiasmo, ti ripeti, la sua emozione nel realizzare un canestro, la sua euforia sempre rinnovata, troppe volte ci si appassiona solo alle novità, alle prime volte. Non qui, non nel minibasket.

Sta fissando la retina, ora sai a che può star pensando.

“A me il cerchio piace molto di più” gli dici, guai a dirgli che non ha abbastanza forza per buttare il pallone nel canestro. “A te?”

Vedi l’ombra di un sorriso mentre gli passi la palla, lo vedi allargarsi timidamente, poi sempre più sicuro, in pochi secondi capisci che è intriso di sincerità, di purezza, forse in quel momento siete già amici e tu ancora non lo sai, o magari sarà più difficile conquistare la sua fiducia, ma nonostante ciò tu gli vuoi già bene e ti basta questo. Chissà a cosa pensa.

Intanto ne arriva un altro, e un altro ancora, ti alzi e ti abbassi mille volte per parlare con ciascuno stando alla sua altezza, studi come approcciarti ai loro diversi caratteri, ai loro semplici timori e persino al loro entusiasmo. Il bambino entrato per primo in palestra ora ti batte il cinque e ti chiede di contare con lui i canestri che realizza, una bimba ti mostra le mani sporche di pennarello e ti racconta che all’asilo ha fatto un disegno per la mamma. “Ah, ho capito, la maestra non ti ha dato il foglio e ti sei colorata le mani!” riversa la testa all’indietro, ride, è il suono soave della sua semplicità infantile, spensierata e facile da stupire.

Mentre lei ride qualcuno ha le lacrime in tasca perché non riesce a fare canestro, corri da lui, gli mostri che sbagli anche tu e sta già sorridendo, sta già riprovando a tirare. Mentre te ne vai ti volti a controllarlo e lo vedi incantato, ti fissa ancora. “Maestra! Maestra!” ti suona così strano quell’epiteto. “Dimmi” e non ti concede nemmeno il tempo di completare la parola che già ti cinge le gambe e alza lo sguardo. Chissà, quegli occhi che si perdono nei tuoi, in quali pensieri si cimentano.

Ora siete tutti seduti in cerchio, anche tu con e come loro. Sedete a gambe incrociate, li guardi uno a uno, iniziano oggi la prima lezione di minibasket e stanno per imparare molto dai tuoi consigli, ma tu? Tu che stai per imparare da ognuno di loro?

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