La pioggia batteva forte decorando i vetri delle finestre di sottili rigagnoli.

Il mare davanti a Porto del Sole era un informe massa nera , solo occasionalmente illuminata da qualche lampo: una notte come tante d’autunno, ma c’era chi a dispetto del tempo era in pace col mondo.

In 33 Anni di Onorata esistenza in questo mondo Christian non si era mai sentito così fiero di se stesso.

Quando la settimana prima sua moglie Roberta era stata contattata per fare la responsabile dell’intero settore make up ad un grosso evento in città la sera del 31 ottobre, con la morte nel cuore si era disposta a parlare con sua figlia Rachele e cancellare il pigiama party organizzato per la notte di Halloween.

“E perché mai?” aveva Obiettato Christian “Ci sono qui io”

“Chris, ti amo, ti adoro, e Dio solo sa quanto io sia Fortunata, ma diciamocelo, non sei esattamente uno preciso come un orologio svizzero, e con tre bambine di 10 anni in casa sotto la tue gestione, vorrei evitare di rientrare e dover fare un altro trasloco”

Ma lui si era offeso, indignato, e tanto aveva detto e fatto che il pigiama party della sua adorata bambina era stato salvato, seppur con “regole d’ingaggio” stringenti.

“primo: non cucini, chiama le pizze, margherite per l’amor di Dio, non sono armadi come te, né hanno il tuo stomaco, niente gorgonzola, peperoni o salame;

Secondo non decidi di testa tua il film, ci mancherebbe che gli mostri qualche splatter pieno di sangue, ti lascio io il DVD di un cartone animato

E terzo, ricordati che il giorno dopo hanno il torneo: no bibite gassate e a letto presto”

Erano le 22 precise e tutti i diktat erano stati mantenuti, fatto salvo quello sulle bibite frizzanti, perché di sua iniziativa Chris aveva implementato il buffet con un bottiglione di Coca Cola senza caffeina “che non ha mai ucciso nessuno, suvvia”.

Era stato sostanzialmente perfetto, al mattino aveva intagliato la zucca senza procurarsi tagli da pronto soccorso (si era limitato ad un paio di ferite superficiali), aveva preparato i letti, aveva addobbato la casa, e sopratutto aveva retto l’urto di 3 piccole, gioiose creature capaci di scatenarsi con l’energia di una bomba nucleare e di gridare a voce così alta da sfondare il muro del suono.

Erano le 22 precise e lui era spaparanzato in divano, la cellula terroristica era stata piegata dalla proiezione di Rapunzel cui era seguita un sua – non per essere modesti – magistrale interpretazione della storia di Jack O’Lantern, e ora poteva perfino godersi gli ultimi 30 minuti di della sua Juventus di scena in casa col Bologna.

Christian era stato un padre relativamente giovane, e spesso si era sentito a disagio davanti alla preparazione e alla sicurezza degli altri papà

 “Ma scommetto che quei matusa non avrebbero saputo fare di meglio”. Gongolò.

Ora, si sa che ci sono alcuni rumori inconfondibili al mondo, la pioggia che batte sui vetri, la risacca del mare, il garrito di uno stormo di rondini. Purtroppo per Christian, tra i rumori inconfondibili si deve annoverare anche ciò che sentì in quel momento, ovvero quello determinato dal contatto dei paffuti passi dei piedi nudi di un bambino, o meglio, di 3 nel caso,  sul pavimento.

Pregò che fosse un parto della sua immaginazione, o un serial killer dotato di ascia che veniva a farlo a fette, tutto era migliore della verità, ma fu inutile: i visini dolci e delicati di tre simpatiche bambine impigiamate lo osservavano guardinghe.

Pensò un attimo a Roberta, e al Se, prima di ucciderlo, cosa scontata, lei gli avrebbe fatto svelare il motivo di quella notte in bianco delle ragazze, dandogli modo di spiegare cioè se fosse dipesa da una coca di troppo o da una troppo vivace esibizione della storia di Halloween, o se lo avrebbe decapitato senza porre tempo in mezzo, appena ricevuta dalle altre mamme la notizia della notte in bianco delle virgulte. Rassegnato, chiese alle piccole

“Bimbe perché siete sveglie? vi fa male la pancia?”

un coro di no fu la risposta

“Bene”, si disse, perlomeno il peccato della coca cola non sarebbe stato scoperto, se la fortuna lo assisteva.

“E allora cosa succede?”

Mentre Susy e Anna si guardavano i piedi, timide – cosa strana, visto che di solito fuggivano la timidezza alla stregua dei vampiri la luce – sua Figlia Rachele prese il coraggio a 4 mani; mentre si schiariva la voce muovendo la frangia con la mano, per l’ennesima volta Chirstian dovette riflettere su quanto fosse una copia e una stampa con la madre.

“Vedi papy, domani c’è il torneo, è la prima volta che giochiamo nella squadra di sole femmine e siamo le uniche, gli altri sono tutti maschi”

“e le nostre compagne sono tutte alla prima partita..” si fece coraggio Anna

“Siete preoccupate?”

“Un pochetto”

“Beh bimbe, è normale essere preoccupate, è una bella sfida, ma secondo voi le vostre compagne, che non hanno mai giocato non saranno più preoccupate di voi?”

Coro di si di risposta 

“E allora voi più esperte dovete aiutarle, se lasciate che il mostro a 3 teste vi mangi che ne sarà di loro?”

“Il mostro a 3 teste?” Chiese Susy

“Non conoscete la storia del mostro a 3 teste??”

“Noooooooo”

“Allora facciamo così, tornate di corsa nei vostri letti prima di buscarvi qualcosa, io prendo una sedia e ve la racconto”

“Tanto tanto tempo fa, in un posto lontano lontano, sorgeva il regno di Ducentorri.

Era un posto meraviglioso

Distese di prati ricoperti di fiori erano attraversati da fiumi color argento, il cielo era di un azzurro che non si può descrivere, la terra dava cibo in abbondanza per tutti e così tutti vivevano felici.

In quel regno, dovete sapere, governava un saggio Re, che aveva avuto dalla sua regina 3 figlie, belle come il sole, gentili e intelligenti, che erano la sua gioia: la più giovane si chiamava Hama, aveva i capelli dorati come il grano mietuto a giugno e gli occhi verdi come gli smeraldi, ed era una diligente studentessa. La sorella mediana si Chiamava Aché, i cui lunghi capelli rossi erano sempre raccolti in lunghe code, era l’atleta di famiglia, mentre la più grande, Oirì, sotto la patine di dolce ragazza che le conferivano gli occhi violetti e gli ondulati capelli castani, nascondeva una volontà di ferro.

Nel Regno di Ducentorri regnava la Pace, c’era l’esercito, e soprattutto c’erano i Cavalieri della Corona.

L’ordine dei cavalieri della Corona era infatti antico come il regno stesso, e farvi parte era il massimo onore cui si potesse ambire. Sui loro cavalli Bianchi, le armature che luccicavano argentine sotto il sole i cavalieri della corona erano la garanzia che nessun nemico avrebbe mai posto d’assedio le mura della città, e che mai il regno avrebbbe conosciuto l’incubo della guerra.

Tutti potevano accedervi, se dimostravano di avere coraggio e di saper vincere le sfide, sottoponendosi alla Prova, così non c’era ragazzo che non aspirasse a mettere quell’armatura, e non c’era ragazza che non sognasse di sposarne uno.

Quest’ultima cosa, però, non valeva per le 3 principesse di casa reale: cresciute a palazzo, avevano ammirato l’addestramento e le evoluzioni dei cavalieri, e anch’esse sospiravano per l’Ordine;  non però per sposarne un membro, bensì per esserne parte a pieno titolo.

Quando erano tutt’e tre poco più che bambine erano andate da loro padre, e gli avevano chiesto di poter affrontare la Prova.

Il Grosso Pancione del Re aveva sussultato dalle risate, e i suoi occhi si erano posati sulle figlie con tenerezza, ma era stato categorico

“Solo i Maschi possono diventare dei Cavalieri”

Deluse, le ragazze erano tornate alle loro stanze, ma la regina loro madre, che giaceva a letto malata,  le aveva incoraggiate

“Noi donne sembriamo dolci e indifese, ma sappiamo essere come e meglio degli uomini, perciò piccole mie non demordete, vedrete che anche se faranno di tutto per farvi rinunciare, se persisterete e arriverete in cima la vista sarà bellissima, e la soddisfazione doppia, e se anche non ci arriverete, non disperate, non c’è vergogna nel fallimento, ma solo nel non accettare le sfide che la vita ci pone: gli ostacoli più grossi che troverete, ricordatevelo, vengono da voi stesse”

Purtroppo erano state le ultime parole della nobile regina, che le aveva lasciate poco dopo.

 Andare a cavallo, fare gli esercizi con le spade e sottoporsi a lunghe corse nei boschi al riparo dagli occhi indiscreti e pronti a giudicare erano stati un lenitivo al loro grande dolore, così Oirì, Aché e Hamà erano cresciute flessuose come giunchi, dure come l’acciaio e ostinate come un mulo.

Qualche anno dopo accadde che al confine Nord del regno si presentò un piccolo esercito di soldati vestiti di nero e coperti di maschere, e il loro comandante, che disse di Chiamarsi Ottanfisc, dichiarò Formalmente guerra a Ducentorri.

Visto il ridotto numero di soldati di cui disponeva il nemico il Re decise di mandargli contro il suo esercito di fanti, ben superiore di numero, senza sprecare l’ordine della corona.

le due fanterie si fronteggiavano sul campo di battaglia, pronte a scagliarsi gli uni contro gli altri, ma prima che ciò potesse accadere, Ottanfisc si tolse il guanto di ferro da cui uscì un’artiglio che finiva in 3 lunghe dita ricoperte di una pelle verde, e fece un cenno.

Come un sol uomo i suoi soldati si aprirono, lasciando passare una gabbia da cui uscì una strana Bestia. 

Su un  corpo tozzo e spregevole color del fango, della grandezza di un cane, che finiva in zampe corte e sporche e che era guarnito di ampie ali di pipistrello, poggiavano ben 3 teste, una nera testa di Drago, un lungo e verde collo che finiva nella testa di un Cobra e la pelosa testa di quello che sembrava essere un Lupo dalle zanne lunghissime. 

“Vi Presento Aolicost, il MIO mostro a 3 Teste”

I Fanti del re sguainarono la spada e attaccarono, ma una volta avvicinatisi al mostro questi si levò in volo: le teste fissarono le truppe di Ducentorri, e si verificò un fenomeno strano: alcuni semplicemente abbandonavano le armi e fuggivano, altri si gettavano per terra strappandosi i capelli e percuotendosi a sangue, altri ancora si bloccavano, tremanti e paralizzati. Più ciò accadeva più Aolicost ingrandiva le sue misure, che oramai raggiungevano quelle di un grande elefante.

Fu un gioco da ragazzi per la marmaglia di Ottanfisc fare polpette dei resti sbandati di quell’esercito terrorizzato, e per il Regno di Ducentorri Cominiciò la Guerra.

L’esercito di Ottanfisc mise a ferro e fuoco molti villaggi, ma a marce forzate gli andava incontro il Re assieme all’intero Ordine della Corona, fulgido nelle armature d’argento.

A due giorni di Cammino dal Palazzo finalmente i due eserciti vennero a contatto: ma quando, al segnale di Ottanfisc, il Mostro a 3 Teste Aolicost lo fece salire in groppa e assieme a lui si levò in volo, anche i temerari cuori dei Cavalieri della Corona ebbero un tuffo: il mostro diveniva sempre più grande, Oramai pareva un Grande palazzo, e quando fissò gli occhi sui membri dell’Ordine, si ripeterono le scene viste al confine: molti si picchiarono da soli fino a uccidersi, i più fuggirono disperati, un nutrito gruppo venne travolto mentre, come bloccato, non poteva più ne avanzare ne retrocedere.

In dieci minuti secoli di Onore, Rispetto e Orgoglio che avevano ammantato l’ordine della Corona furono polverizzati per sempre.

La sera del dì successivo solo pochi raccogliticci resti di quello che era stato il fiore all’Ochiello del Reame giunsero a Ducentorri, avviliti e abbattuti, tra essi c’era, ferito, Il Re.

Oirì, Hamà e Achè fecero appena in tempo a vederlo e a porgli sulla fronte un straccio di acqua gelida quando furono richiamate sulle mura dal suono dei corni da guerra.

L’Esercito di Ottanfisc era schierato sotto gli imponenti Bastioni della città.

Ad un Tratto, Cavalcando il suo Mostro, Fu il Capo dell’Esercito a Rompere le fila e Farsi avanti

“Voi di Ducentorri! Mi Avete mandato contro i vostri eroi, e io ve li ho mostrati per ciò che sono, fallibili e falliti! Ora vi offro una via: arrendetevi e spalancatemi le porte, e vivrete come miei schiavi, la condizione che meglio vi rappresenta, oppure presentatemi i vostri campioni, così che io e il mio Aolicost ve li mostriamo nella loro natura strisciante e querula: avete tre giorni, se non ci sarà nessuno pronto a sfidarmi, e non aprirete le porte, daremo l’assalto al castello e non una pietra sull’altra rimarrà della vostra città, e il vostro sangue scorrerà a fiumi.”

Mentre il popolo terrorizzato si barricava in casa, a Palazzo si discuteva il da farsi: purtroppo il Re era però caduto in uno stato di febbre dovuto alla sua ferita, e il primo giorno si perse così.

Anche la seconda giornata stava oramai morendo senza che una decisione fosse presa, quando i dignitari del consiglio della Corona furono convocati nella stanza del Re, che seppur debolissimo era sveglio.

Fu il suo ciambellano a riassumere la situazione al Sovrano che, pallidissimo sussurrò

“L’esercito è stato sterminato, L’ordine della Corona distrutto e disonorato, il regno è ridotto in macerie: tutto è perduto, domani metterò la mia armatura e sfiderò quel mostro, ci andrò da solo, perché un Re che in pochi giorni perde così tanto, non merita di vivere; ma voi pensate al nostro popolo, non permettete che venga massacrato e salvate loro la vita, quandò morrò, aprite le porte”.

Questo discorso vennè tuttavia udito anche dalle Principesse Oirì, Hamà e Achè, che origliavano dietro ai pesanti tendaggi d’una finestra, esse si guardarono e presto capirono cosa fare.

In un’Alba livida il Re si svegliò tremante e debole per la ferita, dovettero sorreggerlo in 2 affinché potesse indossare l’armatura ammaccata il cui peso sembrava schiacciarlo.

Stava per chiedere che fossero convocate le sue figlie per un ultimo saluto, quando un giovane paggio entrò velocissimo ed affannato:

“Maestà, Maestà, tre cavalieri vanno incontro al Mostro”

Portato quasi a braccia sui camminamenti delle mura, il Re potè constatare che tre magri  cavalieri sconosciuti, senza insegne o altri simboli di riconoscimento, cavalcavano tranquilli, gli elmi già calati in assetto da battaglia, verso il nemico.

“Sorelle” gridò il cavaliere centrale “Dobbiamo essere Coraggiose, allontaniamo dal nostro cuore gli altri sentimenti”

Non ci misero molto ad essere individuate dalle sentinelle.

“Siamo qui ad accettare la sfida formale lanciata dal tuo RE” disse con la voce più profonda che poteva la principessa Oirì.

Tump. Tump. Tump.

Un Sordo rumore interruppe pochi minuti dopo l’attesa delle tre principesse, volsero lo sguardo al cielo, e il primo sole del mattino venne oscurato dalla gigantesca figura del Mostro a tre teste Aolicost, su cui sprezzante cavalcava Ottanfisc.

“Il vostro Re non trova di meglio che mandare a combattere in vece sua tre ragazzini? E sia, mi prenderò le vostre vite, sarà un antipasto di ciò che farò a Ducentorri”

disse, mentre il mostro poggiava le sgraziate zampe raspanti sul prato. 

Scese di Cavallo e Sguainate le spade, le ragazze si divisero, ed ognuna affrontò una delle teste di Aolicost.

Hamà si trovò di fronte la testa di Cobra, che guercio d’un occhio, l’orbita vuota deturpata da un vistoso taglio, suadente e ondeggiante, la fissò con il solo occhio buono.

La giovane principessa si sentì avvolgere da un senso di inadeguatezza, che la faceva tremare, mentre il cuore batteva forte una voce, melliflua, le risuonava nella mente

“Lo sai di non essere capace, lo sai di non essere adatta a questa vita, fallirai, morirai, e quel che è peggio, il tuo fallimento determinerà la morte di tutte le persone che ti stanno guardando da Ducentorri, e che credono in te”

Provò  l’irrefrenabile tentazione di fuggire, ma si rese amaramente conto che anche se vi avesse ceduto, non si sarebbe mossa di un centimetro, totalmente avviluppata tra le spire di un’ansia che pareva essere emanata da quel maledetto serpente, e i suoi occhi si riempirono di lacrime.

Sull’altro versante avanzava la Principessa Achè, che presto incontrò lo sguardo del lupo.

Gli occhi gialli dardeggiavano su di lei, il respiro Aggressivo che la bestia emanava produceva nuvole di condensa nel freddo del mattino, al cui pallido sole lampeggiavano le mostruose zanne.

Achè venne investita da una irrefrenabile aggressività, mentre una voce ironica e dissacrante la apostrofava

“E così hai perso, tutti questi anni a lottare per affermarti, per dimostrare di essere di più di come ti vedono, non sono serviti a nulla, ti sei raccontata mari di bugie, non sei altro che una ragazzina presuntuosa, che ha mentito a se stessa millantando delle capacità che non hai”

Aveva ragione, la maledetta voce del lupo aveva ragione: era stata una illusione, una mistificazione, un bluff, si era convinta di essere la migliore e invece non era nulla: si rese conto che l’odio, l’immane rabbia che provava, le provava per sé stessa: Portandosi le mani al capo, cadde bocconi

Circospettamente verso la testa centrale si muoveva la Principessa Oirì: diversamente dalle altre due la testa del nero drago si mantenne bassa e quasi dormiente fino a che la primogenita del Re non le arrivò a pochi passi,  poi la levò di scatto.

Una cascata di scaglie e punte ossee formava delle creste sul muso della fiera, mentre la bocca semiaperte lasciava intravedere diverse file di denti aguzzi e un piccolo sbuffo di fuoco usciva tra di esse. 

Ma furono gli occhi a calamitare l’attenzione di Oirì: completamente ciechi, neri e profondi come il mare di notte.

La baldanza che l’aveva accompagnata durante il tragitto e la forza che era sempre stata la sua bussola l’abbandonarono tutto in un colpo, un irrazionale panico le stringeva come una gelida mano ghiacciata la gola.

“Fuggi! Fuggi ora, vattene lontana, sei in tempo per dimenticarti di tutto questo e ripartire da zero, salvati, salva te stessa.”

Capì di aver paura, un’egoistica, totale paura, che avrebbe vinto, facendole abbandonare le sorelle al loro destino: incapace di trattenersi, come un ultimo disperato tentativo, lanciò un grido disperato mentre già le gambe volgevano lontane da quel mostro

“Sorelle!, non sono abbastanza forte,  non ho abbastanza coraggio, tremo di paura”

Mentre lo disse, sentì un leggero allentarsi della morsa del panico che la attanagliava.

Quell’urlo destò dalla prostrazione Achè, che disperata si stava rotolando per terra “No Sorella, sono io la traditrice, io che vi ho perdute, io mi odio, brucio di Rabbia per questo”

Anche Hamà udì le parole delle sorelle, e tra le lacrime trovò la forza di rispondere

“Io ho meno coraggio di tutte, non faccio nulla, non sono buona nemmeno a fuggire o a odiarmi, sono qui, ferma, in lacrime, distrutta dall’ansia, la mamma si vergognerebbe di me”

Quella Parola, mamma,  ebbe un forte impatto su Oirì, che arrestò la sua fuga; erano anni che non ci pensava, alla madre, al suo sorriso, all’incrollabile fiducia nelle figlie “gli ostacoli più grossi che troverete, ricordatevelo, vengono da voi stesse” aveva detto, con un filo di voce, prima di andarsene.

Fu come se una lama di luce fosse penetrata nella nebbia di terrore che avvolgeva la sua mente. Gli Ostacoli vengono da noi, vengono da noi, vengono da noi.

“MA Sì, E’ COSì”

“Ragazze, ascoltatemi: vi ricordate cosa diceva la mamma? Sono dentro di noi gli ostacoli: la mia paura, la tua ansia Hamà, e la tua rabbia Achè, vengono da noi, non dal mostro, il mostro diventa solo più forte se in noi crescono questi sentimenti negativi”

Quasi a Darle conferma di ciò che diceva, l’ Aolicost si rimpicciolì di un bel po’.

“Ho rabbia con me stessa perché non sono pronta, ma è tutta la vita che mi preparo a questo momento, non posso essere più preparata di così, non posso” rialzatasi, Achè sguainò la spada e si portò davanti al Lupo, le cui Zanne stavano riducendosi 

“L’ansia di non riuscire non esiste, mi conosco, ho fiducia in me stessa, e ne ho in voi” disse Hamà, e riprese la sua marcia verso il Suadente Cobra, che avvertendo il pericolo soffiava irritatissimo.

“e la paura, la paura è un ostacolo alla nostra grandezza: siamo ragazze, e riusciremo dove tutti gli uomini del regno hanno fallito, questo non mi può fare paura, no! Io Non Ho paura di Te!”

All’urlo della principessa primogenita seguirono i fatti: come fossero una sola persona, le tre ragazze menarono un gran fendente, e le teste del mostro grondanti di una sostanza verdastra rotolarono sul terreno.

Anche il Cavaliere, alla pari del mostro, si era ridotto, e ora non misurava una grandezza maggiore di un grosso topo, mentre già si erano volatilizzate, come tanti fantasmi, le sue truppe.

Togliendosi gli elmi, le sorelle lasciarono che il sole illuminasse le loro chiome, e il loro orgoglio di essere donne, Oirì si parò innanzi al nemico

“Ottanfisc, 3 donne hanno distrutto il tuo mostro”

“ è vero” replicò lui, ormai della grandezza di un sasso “Avete sconfitto i vostri mostri interiori, e il mio povero Aolicost e me stesso abbiamo perso nutrimento e forza”

 “Ottanfisc, il tuo nome è un anagramma vero? significa Sconfitta!” Dedusse Achè

“Esatto, e il mio nobile destriero era Aolicost, Ostacoli: mai nessuno aveva capito come superare lui per evitare me”

Era ridotto alla grandezza di un grillo, così Hamà lo prese sul Palmo della Mano 

“E quindi ora, non ci resta che schiacciarti”

“Non serve: se si sconfigge il mostro a tre teste, ansia, rabbia e paura, io semplicemente, non esisto”

E così, in una nuvoletta di fumo, la sconfitta sparì dalla vita delle 3 Principesse”

Susy, Anna e Rachele, accoccolate nei loro lettini avevano ascoltato, attente e rapite, ma ora il sonno stava avendo la meglio.

“Dobbiamo essere forti domani” sussurrò la prima

“Ce lo mangiamo il mostro a tre teste” biascicò la seconda

“Vedrai papi, senza ansia rabbia e paura domani lo vinciamo il torneo” chiuse Rachele.

Christian non fece in tempo ad accostare la porta, che i respiri pesanti che provenivano dalla stanza certificarono ufficialmente l’inizio del viaggio delle bimbe “In the country of Sleepers”.

Anche la pioggia sembrava essersi presa una pausa in quella nottataccia.

Soddisfatto, decise di essersi meritato una birra, e si girò per raggiungere la cucina, quando una nera figura incappucciata e grondante lo attaccò avvolgendolo, senza dargli via di fuga.

Dal lucido sintetico del cappuccio bagnato emersero gli occhi di Roberta.

“Amore, sei Tornata!”

“Si, ho preso l’ultimo treno”

“Non ti ho sentita rientrare”

“Lo so, eri troppo intento a raccontare di paure e principesse”

“Non mi dirai che hai origliato?”

Un caldo, lungo bacio fu la sola risposta che ottenne, in altri momenti si sarebbe ritenuto soddisfatto, ma in quel momento il suo ego reclamava

“E quindi? Parerei?”

“Pareri? Te l’ho già detto, sono una donna fortunata, anzi siamo fortunate tutte e due” poi, con la voce fattasi sottile sottile “e tra poco saremo fortunati in tre”.

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